mercoledì 19 marzo 2014

Due giornate molto diverse. Ovvero: Materiali sul silenzio e La primavera è arrivata in Piazza Della Resistenza (a bordo vasca)

Venerdì 14 marzo. Possiamo definire il silenzio?

AVVERTENZA: In questo post diversamente dalle altre volte non racconterò cosa abbiamo detto e fatto, ma metterò insieme solo alcuni dei materiali che abbiamo ascoltato e letto, con qualche piccola nota.

Il silenzio quale momento in cui stiamo da soli a pensare e fare, il silenzio come difficoltà nella comunicazione, il silenzio come ultimo approdo delle parole - quando qualcosa diventa inesprimibile il silenzio riesce a dirla. Il silenzio come imperfezione necessaria in tutto ciò che chiamiamo linguaggio. Il silenzio assoluto. Il silenzio interiore. Il silenzio del non capire.

Partiamo da qui. Ascoltiamo Diamanda Galàs, la serpenta, che esegue al piano una poesia di Pasolini - Supplica a mia madre.



La Galàs sbaglia le parole, gli accenti, eppure è proprio questo - l'imperfezione - a rendere questo pezzo unico e a infondergli l'amore disperato (perché vero, intenso, ma anche terribile come un legame che non si riesce a scindere) del poeta per la madre.

Supplica a mia madre

E’ difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio. 

Tu sei sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore. 

Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.    

Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
  
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
  
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
  
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
  
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
   
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
  
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile … 


Pier Paolo Pasolini


Dopo leggiamo da un testo scritto da Simone Weil a sedici anni, Il bello e il bene. Parla della musica:
"la musica sembra la sostanza della nostra anima. Tuttavia, se ci si riflette, la musica appare come un oggetto tanto duro e impenetrabile quanto un tempio. Al contrario del tempio che è là, davanti a noi, nello spazio cosicché possiamo allontanarci o avvicinarci a esso quanto vogliamo, la musica sfugge sempre. E poiché dobbiamo imitarla senza sosta e muoverci con essa, per coglierla, crediamo sia lei a esprimerci e invece siamo noi a imitarla".
Discutiamo su cosa significhi l'imitazione e anche sulle cose perfette - se esistono e se sono umane. 
Ma perché esprime la nostra anima? Di quale anima parliamo? Di uno spirito che ci sopravvive? Di un'idea religiosa? Di un principio fisico che anima il corpo? Del sentimento più profondo dentro di noi?


Forse l'anima è quel luogo dove le memorie e i sogni si accumulano e insieme si dimenticano.
Tomas Tranströmer, poeta svedese Nobel nel 2011. La prima è quella su cui ci fermiamo di più:
I ricordi mi vedono

Devo uscire nel verde gremito
di ricordi, e mi seguono con lo sguardo.

Non si vedono, si fondono totalmente
con lo sfondo, camaleonti perfetti.

Così vicini che li sento respirare
benché il canto degli uccelli sia assordante.




Come è possibile essere visti dai ricordi? Facciamo varie ipotesi.
I ricordi ci giudicano.
I brutti ricordi ci perseguitano e tornano anche se cerchiamo di evitarli.
I ricordi ci determinano.
Sono ovunque nel paesaggio. Ma, aggiungo, sono anche camaleonti. Questo vuol dire che si modificano, non restano sempre uguali a se stessi e forse sono vivi proprio grazie ai mutamenti. La loro voce possiamo sentirla solo noi - è anche lei un silenzio. 
E se fosse, invece, che non siamo affatto al centro di nulla come esseri umani, ma sempre visti e quindi determinati da tutto ciò che esiste insieme a noi?
Allora leggiamo questa poesia che è anche un sogno. Un sogno meraviglioso in cui è l'albero a camminare e non l'uomo. 



L’albero e il cielo

Un albero vaga nella pioggia,
ci passa in fretta davanti nel grigio scrosciante.
Ha un affare da sbrigare. Prende vita dalla pioggia
come un merlo in un frutteto.

Appena smette di piovere l’albero si ferma.
S’intravede dritto e fermo nelle notti chiare,
come noi in attesa dell’istante
in cui i fiocchi di neve si rovesciano nello spazio.


L'ultimo silenzio che ascoltiamo è questa canzone qui, che tutti conoscete:



Stavolta il silenzio è la non comunicazione, l'indifferenza, l'isolamento, il desiderio di raggiungere gli altri e il trovarsi sempre impossibilitati a farlo. 

Abbiamo anche scritto qualcosa e si può leggere qui.

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Martedì 18 marzo. Gita in Piazza D'Armi! Letture e discussioni varie in libertà accanto alla vasca dei pesci.


Lirici greci
apparizione fugace di Emiliano
progetti di reading
Antonella Anedda
Franco Buffoni
torture orribili
Catullo
poesie sboccate
Bob Dylan
andiamo tutti in gita alla montagna dell'orso
Interviste sulla primavera
La superiorità dell'Estathè al limone su quello alla pesca, lo schifo totale dell'Estathè verde
il delfino di verdura nella vasca
i tacchi e l'omologazione
Requiem for a dream vs. Trainspotting
Le droghe e il mito letterario - Heroin di Lou Reed, ma anche Pompeo di Andrea Pazienza...





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