mercoledì 26 febbraio 2014

Immaginando IL posto segreto

Ovvero: da una poesia rumena al cosmo segreto di ognuno.

Ha inizio così: la Diana viene intercettata per leggere una poesia di Nina Cassian in lingua originale. Sfoglia un po' il libro e poi ne sceglie una, per tutti noi misteriosissima, poiché non sappiamo il rumeno.
Ce la legge e ci rapisce, perché - lo ripetiamo da un po' - i suoni sanno essere più potenti del senso.
Il libro viene passato alla Brendache esordisce con un "ah, bella!". Poi svela l'arcano, leggendo la traduzione:

Intimità

Posso stare da sola.
So stare da sola.

C'è un tacito accordo
tra le mie matite
e gli alberi là fuori,
tra la pioggia
e i miei capelli diafani.

Bolle il tè,
spazio mio dorato,
mia ambra pura e ardente ...

Posso stare da sola.
So stare da sola.
Scrivo a lume di tè.

Il tè, gli alberi, il poter o saper stare da soli ci lanciano in una discussione sul significato della parola solitudine - c'è una solitudine "buona", creativa e una che ci fa male, coincide con l'isolamento, prontamente citato da Giammarco con Isolation dei Joy Division. Lo Scarpe sottolinea che la poesia ha anche un aspetto malinconico; Simo segue citando L'infinito di Leopardi - ogni solitudine che produce immaginazione, che supera l'ostacolo (delle siepi, dei muri, delle matite grandi come alberi), ha in sé anche una componente dolorosa di separazione. Forse per questo, poi, si scrive. Per arrivare dall'altra parte, dove stanno i fantomatici altri.
Pane, nel frattempo, ha deciso che parlerà sottovoce per essere in sintonia con le solitudini.

--- Mentre siamo così immersi in queste profonde elucubrazioni, prontamente registrate da Lorenzo (il Maff!), accadono strane cose nelle retrovie: in vista della festa di Carnevale alla scuola d'arte, la Diana viene truccata dalla Melissa fino a diventare una perfetta Sally di The Nightmare Before Christmas; uno Zanna un po' più inquietante e fiorito si sottopone a torture, ciprie bianche e labbra nere - tipo Kiss. 

- la Denise gira con una testa.

--- alle cuffie: Natale sistema e riascolta un pezzo straordinariamente psichedelico, realizzato poco prima da lui e Gabriele...  di cui senz'altro parleremo ancora.


Cerchiamo di associare una canzone ad un'idea personale di solitudine positiva  - Giulio cita Society di Eddie Vedder, che fa parte della colonna sonora di Into the wild di Sean Penn. Il protagonista, ricorderemo, se ne va da una società adulta di legami fittizi, inseguendo una solitudine perfetta e una terra sua, incognita, dove recuperare un altro senso del sé. Ma la storia, vera, ha un epilogo tragico... poco prima della fine Alex Supertramp legge e sottolinea, ne La felicità domestica di Tolstoj, uno dei suoi libri magici, mai abbandonati, chiusi nello zaino, che "la felicità è vera solo se condivisa". E' così? Vale anche per noi?

A questo punto Lorenzo ci racconta un episodio di qualche tempo fa, che lo ha colpito assai e che vede come protagonista lo Scarpe. In una pausa sigaretta, durante le registrazioni, lo Scarpe invece che uscirsene sulla panchina, se ne va in un "posto suo" dove pensa meglio, dove può starsene un po' da solo.
Allora ci chiediamo com'è che un posto, anche banale, comune, noto a tutti, abbandonato o iperfrequentato, immaginario o reale o entrambe le cose, può diventare il posto segreto, quel luogo dove ci rifugiamo per fare ciò che ci piace: scrivere, leggere, contare gli ippogrifi, guardare le figure, non fare niente, ma farlo in pace.
Un po' di posti segreti e azioni che vengono fuori dall'animata discussione:

Pane legge sull'autobus.
Gabriele legge a scuola, mentre i professori spiegano.
La Denise usa la sua solitudine segreta per scrivere. Legge sotto il tavolo.
Lorenzo nomina la stazione di Rifredi, quando era uno studente di **** (censura) all'Università.
Lo Scarpe cita la sua soffitta, l'albero di Sant'Alessio (il leccione! su cui parte una digressione sentimentale della Francesca/Higgiugiuk, con commentini di sottofondo di Pane e Giammarco, che ci risparmiamo qui).
Viene indicata la casa in piazzetta.
Simo dice che va alla vasca di Piazza D'Armi, la sera, quando non c'è nessuno. Se arriva gente - si sposta.
La Brenda intanto ha davanti a sé un potente quaderno arancione che, come la digressione psichedelica di Natale, sappiamo, tornerà fra noi.

Leggiamo alcune poesie di Emily Dickinson (i libri sono nella biblioteca della c.i.p. ora), ragioniamo su quanto si perde nella traduzione. Emily visse buona parte della sua vita chiusa in casa, dietro la finestra da cui vedeva il mondo e dunque le sue poesie. Delusione? Depressione? Paura? O semplicemente: lei stava bene così?

Viene intercettato Henry che ci offre una memorabile lettura dei testi in inglese. Prova a leggere anche una traduzione, uscendosene poi con una faccia schifata - è tutto diverso, non c'è ritmo, rima, assonanza, armonia. We agree. Poi ci legge The Disquieting Muses della Plath. Non sappiamo come, ci ritroviamo a sentire un'altra ispiratissima lettura di Henry di Raped by elephants dei Torsofuck.

Ascoltiamo il pezzo psichedelico di Natale & Co. al ritmo di incursioni spettro-carnevalesche nella stanza.

La Francesca propone in modo caotico, ma chiaro, di lavorare collettivamente, tra canzoni, scritti, immagini, musiche varie, al "posto segreto". Inizieremo scrivendo delle LISTE al riguardo. Arrivano Sarii e Cosimo che si uniscono alla scrittura liste - musica: In a Landscape di John Cage - di cui si possono vedere qui i primi risultati.

Altre cose che possono servirci: scatti fotografici, immagini, talismani, canzoni, poesie e testi nostri come altrui. Forse il posto segreto non esiste. Ma possiamo sempre inventarlo.

Playlist






























sabato 22 febbraio 2014

da: Documento

I fiori vengono in dono e poi si dilatano
una sorveglianza acuta li silenzia
non stancarsi mai dei doni.
 
Il mondo è un dente strappato
non chiedetemi perché
io oggi abbia tanti anni
la pioggia è sterile.
 
Puntando ai semi distrutti
eri l'unione appassita che cercavo
rubare il cuore d'un altro per poi servirsene.
 
La speranza è un danno forse definitivo
le monete risuonano crude nel marmo
della mano.
 
Convincevo il mostro ad appartarsi
nelle stanze pulite d'un albergo immaginario
v'erano nei boschi piccole vipere imbalsamate.
 
Mi truccai a prete della poesia
ma ero morta alla vita
le viscere che si perdono
in un tafferuglio
ne muori spazzato via dalla scienza.
 
Il mondo è sottile e piano:
pochi elefanti vi girano, ottusi.

Amelia Rosselli


giovedì 20 febbraio 2014

Kina 1989 _ Questi anni




So ancora guardare in alto
e perdermi nel cielo
Mentre vibro assieme ad un torrente
...e penso all'acciaio che ci stringe.

Questi anni stan correndo via
Come macchine impazzite li senti arrivare
Ti volti e son già lontani
Ti chiedi cosa é successo

La rabbia di quei giorni brucia ancora dentro
Ma forse tanto veleno
Poi é tornato dentro di noi
Gli altri stanno ancora ridendo...
E noi qui a guardarci dentro

No son sempre io
Non mi cambierete quel che ho dentro
Forse un'altra faccia
Ho più cicatrici di prima
Sorrido un po' meno
Forse penso di più

Non mi chiedere se ho vinto o se ho perso.
Quel che é intorno é una sconfitta per tutti
No non sono io il fallito
Voi tutti avete perso un po' di vita
Voi tutti meno umani

Il cavaliere di Graal

di Patrizia Vicinelli

Da un altro punto furono viste le stagioni
fino lì sconosciute
solo allora poté sedersi ad ammirare
il senso dell’alternanza.
Dalla sua radice gassosa ne muta
la base visibile
e lo cimenta la traiettoria
di notte e giorno la luce,
il cielo.
È fusa la donna alla sua ombra
eppure trema al fuoco dell’inizio
così se li sposta i suoi passi
Iside all’orizzonte mèta
ora essa fugge la sua lontananza.
Perché non cola l’attesa profumata
ossia fermarsi
la sua ansia volta avrà la fine
di profilo porre cosa la tiene unita
quella che stacca la radice, un alito.
Batte allora sul ferro la materia di sé
e lo plasma ogni angolo continuo
della vista
una distanza del suo centro esatta
la definisce.
I piani diversi del linguaggio
ne è avvolto
così genera le forme della sua ricerca
egli ha imparato come lasciarsi solcare
ad essere cinto dalle tracce.
Con un colpo d’occhio sentiva
la presenza simultanea di tutto ciò
che nella terra cresce
e questa coscienza della situazione attuale
lo aiutava come una disciplina.
Ciò che non è compiuto spinge
il modo del procedere,
mèta, mèta, arsi e riarsi,
durante la costa dei millenni.
Incessante se lo vide rinascere e morire
il mondo fino a dove
non ci fu più tempo né abbastanza luce
per seguitare i paradossi demoniaci
sbalzato come dura pietra molle ora
nelle acque del fiume,
si agitava dentro pezzi di realtà dissimili.
Nel mentre cantano nel petto i volti
dei suoi sogni
muta al mattino in albe anche dorate,
quale certezza venga da mondi paralleli, attriti
posti sopra o sotto, vincolanti.
Scivolando lungamente sul fianco
della piramide atavica
lo blocca quando vuole come esercizio
e intanto la miseria dell’uomo
va consumata dentro di sé, nell’arca
del suo spazio interiore
intendeva infrangere ciò che da inadeguato
si ricompone ad ogni istante.
L’attrazione dinamica del fare mancò
a quel punto
e alla fine della danza più lunga,
l’abbandono e il silenzio
della grandiosa solitudine
lo rendeva eterno,
come collocato su di un punto raso
della terra, sotto le stelle.
Non era più chiamato in battaglia
da tanto tempo.
Il mio inizio è forse il solo inizio,
disse l’uomo assetato, e si sedette
a guardare l’evidenza del suo destino.
Il cavaliere che guarda la luna,
non cerca e non aspetta niente.
Beveva quel soffice vino d’agosto
e teneva la porta aperta
sulla laguna afosa della fine d’agosto,
musica in viole di quel tempo, vino di Graal.
Si chiedeva se non fosse una sua fantasia
mentre risa fendevano l’aria,
di giovani donne ubriache.
Arrossisce il suo silenzio il vino
e gli dà corpo
col respiro batte il ritmo della mente
nell’aria intatta
ora a cerchio lo sguardo, la perdita
lo svela,
un parallelepipedo di una battaglia navale
del settecento,
esatto d’ombre fatte di sfumature.
In settembre oltre la luce così bassa
e radente c’è nebbia
e l’odore di funghi porcini annusati
a lungo, come nelle cene d’inverno
dentro le buste di plastica.
La configurazione del male così conosciuta
era allora impalpabile, sembrava
non ci fosse traccia.
Intanto la luna al primo giorno calante
porge la notte in adagio,
la struttura tutto sommato
è tonda ora, poi cambierà.
Già pensa che il santo Graal è troppo
lontano, e il bicchiere si sta offuscando
di rosso, – qualsiasi cosa signore, ma spingimi
avanti – nuovamente il bicchiere brilla rosso
e la luna fra gli alberi cade con la certa nebbia
fino ai pini e alle acacie, ma non i grilli, non
i ragni, le libellule fino a ieri poi.
Non c’è arrivo non c’è sosta non
c’è partenza, ma il succedersi senza tregua.
Questo sì, che ad ogni livello ne succeda
un altro, per generazione spontanea
l’aveva saputo dalla ruota che girava
mentre i mondi finivano, a volte.


martedì 18 febbraio 2014

Fausto Rossi _ Il lungo addio



Quando mi prendi
la pelle cerca un corpo che non ho mai
Posso dormire
in un letto sempre caldo e sfatto a metà

Ho i piedi bagnati, e qualcosa non va
non ho mai fame, e mi sento un po' giù

Vorrei andarmene un po' via
Vorrei dirti di andar via
Voglio dirti di andar via
Voglio andarmene un po' via, via

Sempre qualcuno
che dorme nel mio bagno e mangia con noi
Credi davvero
che io non riuscirei a fare quello che vuoi

Ma non riesco a dormire, e il cuore non va
Ho un nodo in gola, e mi sento un po' giù

Vorrei andarmene un po' via
Vorrei dirti di andar via
Voglio dirvi di andar via
Voglio andarmene un po' via, via

Non è geniale che
ci sia chi sputa sempre nel mio caffè
Non e poi male
se riesco ad addormentarmi per terra alle sei

Mi sento nervoso, qualcosa non va
Non ho più fame, e mi sento un po' giù

Vorrei andarmene un po' via
Vorrei dirti di andar via
Voglio dirvi di andar via

Voglio andarmene un po' via, via.